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Alzheimer e beta amiloide: nasce una nuova ipotesi
Secondo la nuova ipotesi funzionale, pubblicata recentemente da Roberta Ricciarelli ed Ernesto Fedele sulla prestigiosa rivista Trends in Neurosciences*, il fenomeno neurodegenerativo caratteristico della malattia di Alzheimer sarebbe conseguente alla perdita di funzionalità del peptide Aβ o alla sua mancata disponibilità, e non al suo accumulo. Tale accumulo, da decenni considerato il principale responsabile della malattia, potrebbe invece rappresentare un meccanismo compensatorio, stimolato dalla mancata attività funzionale di Aβ.
Questa nuova ipotesi potrebbe anche spiegare perché la sperimentazione clinica delle terapie mirate a ridurre i livelli cerebrali di Aβ abbia fallito, inducendo colossi dell’industria farmaceutica come Merck e Pfizer ad abbandonare la ricerca in campo Alzheimer.
Il dato forse più singolare che emerge da questo studio riguarda il trattamento con cui si è riusciti a stimolare la produzione di Aβ migliorando la memoria nei modelli animali: si tratta di un inibitore dell’enzima PDE5, farmaco meglio conosciuto con il nome commerciale di Viagra®.
Studi recentissimi dello stesso gruppo di ricerca hanno evidenziato che l’effetto del farmaco, a livello cerebrale, sarebbe mediato dalla proteina Rab5**.
Un metodo innovativo per migliorare l’efficacia della chemioterapia
di molti chemioterapici attualmente in uso, tra cui l’etoposide, è limitata dalla ridotta biodisponibilità, dall’induzione di effetti tossici secondari che ne limitano il dosaggio e dall’inattivazione metabolica. Nello studio pubblicato recentemente su Antioxidants* è stato dimostrato che l’utilizzo di nanoparticelle dendrimeriche capaci di incapsulare l’etoposide possa essere una promettente strategia al fine di migliorare l’efficacia del chemioterapico. L’importanza di questo studio, che nasce dalla collaborazione del gruppo di ricerca di Cinzia Domenicotti con Silvana Alfei (DIFAR), è quello di aver dimostrato che le nanoparticelle dendrimeriche, agendo in sinergia con l’etoposide, ne aumentano l’azione citotossica, mediata dalla produzione di specie reattive dell’ossigeno (ROS)**, in maniera tempo-dipendente. Tali studi, in vitro suggeriscono che questa nuova nanoformulazione, capace di limitare la degradazione dell’etoposide e favorendone il rilascio controllato, possa essere uno strumento terapeutico efficace nel trattamento antitumorale.
Eme ossigenasi 1 nella progressione del melanoma
Eme ossigenasi 1 (HO-1) svolge un ruolo cruciale nel favorire la sopravvivenza cellulare. Nella cellula neoplastica questo si configura come un elemento cruciale nello sviluppo della resistenza alle terapie e nella progressione della malattia. In un recente lavoro pubblicato sulla rivista International Journal of Cancer* in collaborazione con il laboratorio di Immunologia Clinica del Policlinico Ospedale San Martino di Genova (Prof. Pietra), il gruppo della Prof.ssa Nitti ha dimostrato che l’induzione di HO-1 aumenta la resistenza delle cellule di melanoma B-RAFv600 al farmaco di elezione vemurafenib e ne riduce il riconoscimento da parte dei linfociti Natural killer, fondamentale linea di difesa nei confronti di questa neoplasia. L’inibizione di HO-1 si configura quindi come un potenziale strumento per ridurre le recidive nella terapia del melanoma. Inoltre, HO-1 potrebbe essere coinvolto anche in altri aspetti della progressione delle neoplasia, principalmente nel favorire l’angiogenesi, data l’importanza che riveste nella biologia della cellula endoteliale, come recentemente evidenziato nella review pubblicata sulla rivista Frontiers in Physiology**.
**Nitti M, Furfaro AL, Mann GE. Heme Oxygenase Dependent Bilirubin Generation in Vascular Cells: A Role in Preventing Endothelial Dysfunction in Local Tissue Microenvironment? Front Physiol. 2020 Jan 29;11:23. doi:n10.3389/fphys.2020.00023. eCollection 2020.
Alla ricerca dei meccanismi molecolari che sottendono la chemioresistenza
La resistenza ai farmaci è il maggiore ostacolo al trattamento di successo del neuroblastoma ad alto rischio. Questo studio pubblicato recentemente su Scientific Reports* dimostra che il trattamento cronico con etoposide di una linea cellulare di neuroblastoma umano ad alto rischio induce una delezione monoallelica del locus 13q14.3 con una marcata down-regulation dei livelli inducibili dei miRNA-15a/16-1 dipendenti dal gene oncosoppressore P53. Ciò porta all’up-regulation dell’oncoproteina BMI-1 che causa un adattamento metabolico delle cellule di tumore resistente al chemioterapico.
L’importanza di questo studio multidisciplinare del gruppo della Prof. Cinzia Domenicotti è di aver evidenziato il ruolo potenziale di questi miRNA come marcatori di resistenza ai farmaci ed anche come bersagli terapeutici.
Nuove prospettive nella terapia del glaucoma
Il glaucoma è una neuropatia ottica progressiva e cronica caratterizzata da tipici difetti del campo visivo*. Attualmente, sono disponibili sul mercato quattro principali classi di farmaci topici: beta-bloccanti, prostaglandine, alfa2-agonisti ed inibitori topici dell’anidrasi carbonica per il trattamento della pressione intraoculare (IOP). Lo scopo di questa ricerca è di delineare l’efficacia del timololo che ha pochi effetti collaterali topici, mentre ha importanti effetti collaterali sistemici sul sistema cardiaco e respiratorio. Il dato interessante di questa ricerca è che l’impiego del timololo 0.1% senza conservanti è in grado di controllare la IOP al pari degli altri beta-bloccanti a concentrazioni più elevate, ed è meglio tollerato dai pazienti che riducevano i sintomi di secchezza oculare**. Quando la terapia medica non funziona, la chirurgia può aiutare ad abbassare la pressione intraoculare. Attualmente molte sono le possibili scelte poco invasive che si possono eseguire. Scopo della ricerca è la valutazione dei rischi e dell’efficacia***.
Utilità dei marcatori di stress carbonilico e glicossidativo nell’insufficienza renale dei gatti
I gatti sono comunemente colpiti da insufficienza renale cronica (CKD). Molti reattivi intermedi carbonilici e prodotti finali provenienti dalle vie di stress ossidativo sono riconosciuti come tossine uremiche e possono giocare un ruolo nella progressione della CKD. Lo scopo del presente studio* è di confermare se la formazione del prodotti finali carbonilici è più elevata nei gatti affetti da insufficienza renale cronica e valutare se un inibitore dell’enzima di conversione dell’angiotensina (ACEi) possa influenzare questi segni distintivi. Concentrazioni significativamente elevate di entrambi i prodotti intermedi e finali di stress carbonilico/ossidativo sono state rilevate nei gatti CKD. Questo è il primo studio che ha contemporaneamente preso in considerazione diverse tossine uremiche e parametri biochimici nei gatti affetti da CKD. Lo studio sembra indicare che non vi sia un importante effetto degli ACEi sui parametri di danno glicossidativo valutati.
Adattamento cellulare allo stress. Un ruolo cruciale per l’enzima Eme Ossigenasi 1 nella cellula nervosa
La capacità delle cellule nervose di rispondere agli insulti proossidanti ne garantisce la sopravvivenza. Durante l’invecchiamento si riduce la capacità di adattamento mentre nelle cellule trasformate in senso neoplastico l’eccessiva adattabilità favorisce la resistenza alle terapie. Il gruppo di ricerca della Dott.ssa Nitti ha dimostrato che la cellula nervosa sopravvive in condizioni di sbilanciamento redox inducendo la trascrizione del gene HO-1. In linee tumorali di neuroblastoma l’aumentata espressione di HO-1 dipende dalla espressione del microRNA 494 come dimostrato recentemente nello studio pubblicato su Frontiers in Oncology* evidenziando nuovi possibili bersagli terapeutici per favorire la cura di queste neoplasie. Inoltre, il ruolo giocato da HO-1 nel sistema nervoso durante l’invecchiamento o in patologie neurodegenerative appare complesso e dipendente non solo dalla entità con cui viene indotto ma anche dal tipo cellulare nel quale l’induzione principalmente si manifesta, come evidenziato nella review pubblicata su International Journal of Molecular Sciences**.